14/06/08

FRIGO

FRIGO è il progetto che mi occupò nella seconda metà degli anni '90.
Trattai il recupero concettuale/oggettuale di uno status, di uno dei tanti emblemi del boom economico. Intervenni su un Oggetto per così dire di dominio pubblico, coincidente nella fattispecie con l'idea di benessere di chi, oltre che per l'utilizzo, ne aveva fatto una conquista sociale.
All'epoca della mia fanciullezza, si trattava di merce agonizzante ma ancora rintracciabile sul campo, benchè già sul finire degli anni '60 già fosse cominciata la gara a disfarsene. Per me, che me ne occupavo a trent'anni suonati, fu un'occasione. Un esempio interessante di decadenza fine millennio. Fattore del tutto in linea con la parabola discendente occorsa a molti degli oggetti "conquistati” dalle generazioni precedenti. Fu il modo mio, personale e arbitrario, di occuparmi del passato, del tempo trascorso e dei suoi retaggi. il tutto filtrato e analizzato attraverso gli oggetti prodotti.
Fu così che decisi di impicciarmi di un funerale, non credo l'unico, celebrato prima dell'effettivo decesso. Cosa interessante è che mettevo mano a un degrado ormai più psicologico che materiale, anche se le mani decisi di infilarle nella pasta dei residui. Già, perchè di lì a poco mi sarei occupato dei reperti di quel lontano eppur così recente passato che la nuova e controversa società perseverava nel tentativo di eliminare. Soprattutto imponendo la regola della scadenza qualitativa e della sostituzione tout court, in netta opposizione alla filosofia della bontà, dell'aggiustaggio e quindi della logica del risparmio. Per non dire della buona regola. Quindi, oggetti (de)caduti nella dimenticanza non per l'immaginata o disattesa bontà di funzionamento ma, incredibilmente, per l'inadeguatezza estetica, formale oltre che tipologia. Come dire: troppa sostanza non va più bene, troppa evidenza stride, troppa solidità e affidabilità contrastano con le leggi del consumo e del mercato vigente. In una parola evviva lo spreco, da concedersi scioccamente come conquista sociale.
Ecco perchè scelsi l'oggetto frigorifero degli anni '50 e '60... 

...dieci pezzi lavorati in due anni

Mi trovai a recuperarli, dallo stato di oblio in cui versavano, per poi curarli. Andavo per cimiteri deputati: cantine, garages, accumuli di rottami, strade di periferia, discariche... maleodoranti li caricavo in macchina e me li portavo a casa. Li restauravo con puntiglio conservativo... ma con l'idea ben precisa di trasformarli a fine ciclo attraverso la chirurgia plastica della pittura.
In contrasto con l'idea conformistica del tatuaggio contemporaneo, li tatuavo (in)verosimilmente all'insegna dell'unicum, del pezzo unico, in opposizione a una serialità pensata e per essi precostituita in origine...
A nessuno sembrò interessare la storia, il percorso, la transizione e la sorte che avevo scelto per l'Oggetto. La domanda di rito, addetti o non addetti ai lavori che fossero, rimaneva la stessa: "... ma funzionano?
Nonostante il successo di pubblico (inequivocabilmente attratto dall'operazione di machillage e legato a un'idea nostalgica, più che alla nostalgia vera propria per quel preciso Oggetto) venni giudicato per i soggetti rappresentati. Definiti troppo didascalici da un lato, e non in linea quanto a tendenza dall'altro. Cioè "fuori moda”, non commerciabili. Giudicato dal punto di vista commerciale per quegli stessi soggetti di cui non mi curavo dell'originalità quanto invece mi curavo dell'unicità dell'oggetto, su cui erano invece rappresentati. Ad occhi esperti non poteva passare inosservato che adoprassi coscienziosa didascalia nella descrizione: la più popular possibile quanto a gusto allargato, quindi avulsa da un contesto legato all'ultima moda. Certo, descrizione e quindi arte come mimesi votata elettivamente all'arredatorio, se si vuole. Attraente sì, ma volutamente fuorviante.
Insomma fui bocciato proprio per quel che definisco il tatuaggio finale, il distintivo fittizio, benchè assolutamente conforme a un gusto il più possibile allargato, e quindi scontato. Cosa che, devo dire, agli inizi non era del tutto ovvia nemmeno per me che la producevo, benchè accompagnasse latente e passo passo le mie intenzioni.
L'avventura cominciò per caso con una zebra... dipinta con taglio grafico sul portello di un piccolo vecchio Bosch scrostato, identico in tutto e per tutto a quello che avevano avuto in casa i miei nonni paterni, e di cui conoscevo assai bene le forme bombate e il rumore sordo della chiusura, per non dire delle implicazioni sociali e affettive rappresentate. Ricordo come fosse ora mio nonno, i suoi gesti, la devozione e il godimento per quell'elettrodomestico così sudato e importante.
Ebbi consapevolezza fino in fondo, e cioè compiutamente, di quello che andavo facendo solo dopo aver ultimato e osservato bene questo primo Oggetto...
Quindi continuai inseguendo un'idea assai più precisa... con gli animali da documentario e da pubblicità, con qualche paesaggio vagamente toscano e quindi elitario e quindi desiderato e quindi agognato, con il cibo fast food e l'ironia falsamente popular ad esso appiccicata, con roba da appassionati nostalgici come un fumetto dei primi Marvel, magari rifacendo Picasso piuttosto che Klimt, a mio modo, ma badando assolutamente che piacessero a tutti proprio per come ormai erano stati addomesticati a vederli nei poster da incorniciare. Ecco il mio obiettivo. Mi fregava che risultassero oggetti smaccatamente belli e lucidi, del tutto vetrificati, splendenti, da toccare. Perchè volevo portare alla luce l'ossessiva irriducibilità di un oggetto nato bene, la sua buona forma: incorruttibile per qualità intrinseche. Talmente incorruttibile a partire dal suo involucro da... farsi concettuale... e quindi: scrigno da toccare con gli occhi, sfiorare con la mente, guardare attraverso il senso del tatto e l'emozione del desiderio. Insomma, contenitore altro, superficie touch-screen evocante la mistica degli oggetti d'uso comune portati sempre più a rango di must.
Solo che... il tutto lo confezionavo sulla pelle di un popular anni '90 il cui scheletro era costituito da una serialità oggettuale mandata precocemente al macero. Per far posto ad altro. A quell'altro oggi assai fin troppo facile identificare col parossistico tam tam dell'usa e getta...
Proponevo un feticcio, uno spauracchio. Un totem evocante e invocabile allo stesso tempo. Un costoso simulacro non certo per tutte le tasche... e anche per questo attraente... fantasma e luccicante allucinazione al tempo stesso di uno di quegli stessi, tanti oggetti di fascinazione e culto che avevano abitato i sogni delle generazioni passate. Per questo oggi la domanda, immutata, rimane la stessa:
"... MA FUNZIONANO, VERO?"

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